Siamo stati alla prima del film "Un ultimo tango" di German Kral, documentario distribuito in Italia da Wanted, sulla storia d'amore di vita e per il tango della coppia di ballerini più famosa della storia.
María Nieves Rego e Juan Carlos Copes si incontrano da giovanissimi e rimangono insieme per quasi tutta la vita.
In tutti questi anni si sono amati e odiati, attraversando diverse dolorose separazioni, fino a dividersi definitivamente nel 1997.
La passione e la determinazione della coppia di ballerini sono messe in scena da una compagnia di giovani tangueros e coreografi di Buenos Aires che, attraverso i racconti dei protagonisti, ripercorrono la loro storia e quella del Tango stesso.
I momenti più belli, toccanti e drammatici delle loro vite si trasformano in incredibili coreografie che si legano alle interviste intime e ai materiali d'archivio per un indimenticabile viaggio nel cuore del tango.
Ecco le sensazioni "a caldo" di alcuni nostri amici tangueri:
Claudia Pane:
“… è complicato parlare di questo film. A caldo, uscita dalla sala ieri sera, con il nodo alla gola ho detto che è un film coraggioso, bello e fatto bene: grande fotografia, musica divina, interpreti “giusti” in ogni momento…ma in verità, credo di aver omesso la cosa principale, cioè che questo film – paradossalmente - rende giustizia a Maria Nieves dal punto di vista umano, una volta e per tutte.
Rimanda l’immagine di una donna straordinariamente dignitosa, che si espone allo sguardo altrui senza paura, dall’alto dei suoi ottant’anni di amore e di vita, e chiama le cose col loro nome. Il dolore è dolore, la solitudine è solitudine, la rabbia per il tradimento e l’abbandono è ancora là, come là è la grandezza dell’amore che ha mosso la sua intera esistenza e che le consente di camminare, ancora oggi, con la schiena dritta e le gambe ferme sul palcoscenico della vita.
Copes fa quasi tenerezza, al confronto.
Un film coraggioso, si, perché si prende la responsabilità di raccontare una storia che noi tutti pensiamo di conoscere, senza retorica e senza pretesa di universalizzare alcunché. E proprio per questo è universale.
E uscendo dal cinema non ho potuto fare a meno di pensare a Camus, quando diceva che “non essere amati è una semplice sfortuna, la vera disgrazia è non amare”…. “
Francesca Russo:
“ Una storia bellissima, dove amore e odio sono praticamente la stessa cosa.
Dice un’amica, Claudia, donna di tango, che questo film rende giustizia a Maria Nieves. Può essere, se pensi al fatto che Maria, nonostante l’abbandono, la perdita e l’umiliazione, resta dignitosa e non ispira mai pietà, in nessun momento del film.
Per altri versi, però, capisci che nella vita non puoi mai essere risarcito, per il dolore provato e per le cose che non hai fatto nel tempo giusto. La forza di lei e dei suoi sentimenti, tutti, non solo quello d’amore, la rendono perdente da subito. Non c’è partita contro la vita comoda, rassicurante, incardinata. Diciamo che il tango, fra i tanti motivi con cui cerchiamo (inutilmente!) di spiegarci perché ci piace tanto, ha anche questo: consente di vivere – in modo legittimo, per qualche minuto e in modo inavvertito all’esterno - il disordine emotivo, montato nel corpo, nella musica e nella danza.
Poi, almeno per qualcuno, tutto si ricompone e si torna alla norma.
Per Juan, per esempio, è andata così, e forse per questo è meno, molto meno, interessante di lei.”
Paola de Vito:
“ Tutti i sentimenti, si sono visti tutti i sentimenti: amore, odio, tristezza, disincanto, solitudine, dignità, Arte con la A maiuscola insomma tutto quello che il tango racchiude ed esalta in un film tecnicamente perfetto in tutto, dalla musica alla fotografia di una Buenos Aires meravigliosa, agli interpreti giusti nel loro ruolo e poi Copes e Lei, la Leona! “
Antonio Lalli:
“ Prima di tutto credo che sia un documentario, un bel documentario per "addetti ai lavori".
In realtà la protagonista del film è soprattutto Maria Nieves che racconta la sua storia d'amore e le sue sofferenze per Juan Carlos. Juan è soprattutto proiettato al suo "lavoro" e all'obiettivo di far diventare il tango importante e famoso al di fuori dell'Argentina. Per Juan, Maria è soprattutto la partner di tango mentre per Maria, Juan è il grande amore della sua vita. La separazione da Juan farà crescere Maria nella sua autostima ma non fà nulla per nascondere quanto abbia sofferto prima la fine dell'amore e poi anche l'interruzione del rapporto professionale.
Ammirevole la capacità di mettere a nudo le proprie sofferenze e debolezze, dovute all'amore, di Maria Nieves “
Laura Grandi:
“ Toccante, emozionante, triste ma molto intenso!
Mi sveglio con molte emozioni e sensazioni incredibili dopo il film documentario di ieri 'un ultimo tango'.
Grandiosa Maria Nieves!!! Arriva all'anima!
Bellissima fotografia, scenografia e regia! Davvero un film da vedere e non solo per chi ama il tango!
Complimenti di cuore a tutto il cast di 'pilastri del tango' che hanno contribuito a renderlo di così alto livello artistico: Pancho Martinez Pey (mi hai emozionato), Juan Malizia, Pablo Veron, Alejandra Gutty II!!! Stupendi! “
Mariagiovanna Ferrante
“Un ultimo tango. Partiamo dalla fine. L’obelisco di Plaza de la Republica porta alla fine del film, così come lo ha aperto: un centro, strade che si intersecano, vite che si incontrano. E si allontanano.
Subito dopo, un Lui e una Lei si sono stretti nell’abbraccio del tango, ma poi… ognuno prende la sua strada ai lati opposti del palcoscenico.
Proprio nelle due inquadrature finali si potrebbe trovare la chiave interpretativa del film- documentario su Maria Nieves e Juan Carlos Copes, la coppia che ha fatto la storia del tango, portando questa danza in tutto il mondo e facendone spettacolo.
Questa l’idea del regista German Kral: un gruppo di giovani ballerini e coreografi decide di mettere in scena l’esperienza artistica e biografica della coppia. Per farlo, occorre sapere il più possibile di entrambi gli ormai ottuagenari artisti. Il film diventa quindi una “doppia intervista” a Maria e a Juan Carlos.
Attenzione: non si tratta di una ininterrotta serie di domande e risposte. Si tratta di “finestre” che continuamente si aprono attraverso gli occhi dei protagonisti, finestre attraverso le quali riusciamo a vedere molto, moltissimo.
Non si dimenticano i primi piani, attraverso cui leggere quei volti, quegli occhi che si illuminano o si offuscano seguendo il flusso dei pensieri.
In primo piano anche nella struttura del film sono María e Juan con la loro vita e la grande carriera, ricostruite mediante coreografie, immagini di repertorio e discussioni tra gli intervistatori. A tal proposito, restano impresse nella mente le espressioni stupite dei giovani tangueros, cresciuti con diverse concezioni della vita e del ballo, incapaci di accettare razionalmente l’idea che tra un uomo e una donna sia stato possibile vivere una relazione burrascosa come quella dei due artisti.
Ma è così: quella di Maria e Juan non è stata “solo” una storia d’amore. È stata un tango lungo e intenso, nel quale le passioni più brucianti si sono incontrate in un crescendo che ha portato l’iniziale scambio di adolescenziali miradas all’idea di possesso (“io non appartenevo a lei”-afferma Juan- “Era lei che apparteneva a me”), fino alla netta separazione tra i due. Ma è una separazione che sa del catulliano “odi et amo”.
I due si odiano, ma sanno di essere legati indissolubilmente grazie a quella danza che li ha visti crescere fisiologicamente e artisticamente, fino a diventare due miti viventi, punto di riferimento per chi vuole conoscere la storia del Tango ballato e vissuto.
Il film si sviluppa come un gioco di misure: l’eccesso e il difetto, il troppo e il poco, il troppo pieno e il troppo vuoto. Una corsa continua a superarsi, a non lasciare che l’uno prevarichi sull’altra. A non lasciare che la solitudine sopraggiunta in seguito alla separazione possa diventare un vuoto incolmabile.
Da questa solitudine Maria è ripartita e dalle sue parole lo spettatore trova un insegnamento prezioso: si può ricominciare sempre, quando si vive per qualcosa. Lo dice anche Juan, e più di una volta. Il Tango è ragione di vita, è la vita stessa. Nessuno dei due può farne a meno, perché grazie ad esso entrambi hanno ri-scoperto la propria presenza nel “qui e ora”.
È la verità di entrambi, ma si ricorda soprattutto come la verità di Maria. Sì, perché, a onor del vero, la narrazione predilige il punto di vista di lei: Maria è una “tosta”, che è caduta e si è rialzata, e che è riuscita a trovare un equilibrio. Proprio come quando Juan pretendeva di ballare il tango su un tavolo, durante le loro esibizioni e lei ogni volta doveva superare il terrore di cadere. Il panico, il senso dell’abbandono, la consapevolezza di apparire strana a “quelli del quartiere” per non aver dato figli al suo compagno (che ne ha avuti due da un’altra donna, diventata poi sua moglie), sono i sentimenti silenziosamente urlati dagli sguardi intensi della Nieves. L’insieme appare dunque un po’ sbilanciato “al femminile”. Ma è una scelta emotivamente vincente, così come lo è quella dei brani che scandiscono i diversi momenti di questa storia e che viene voglia di ballare, mentre si è seduti a farsi ipnotizzare dallo schermo.
Torniamo all’inizio, cioè alla fine. Il primo istintivo commento è: “Bello, questo film!”. È chiaro che dietro un semplice, comune aggettivo c’è tutto quello che il pensiero ha registrato e fatto proprio. Sicuramente non è un film di facile fruizione, soprattutto perché non ci si spiega il senso di una vita sacrificata in nome di un ballo. E non tutti potrebbero capire perché, separati già da molto tempo, i due abbiano continuato a ballare insieme per anni, senza parlarsi né guardarsi, perché “il tango è più importante”.
Lo hanno fatto perché le loro vite erano, e sono irrimediabilmente avvinte in un abbraccio lungo cinquant’anni. “
Luciana Muzio:
“ Ero piena di speranze. Il trailer preannunciava un lavoro senza cliché né fronzoli sul Tango e devo dire che ha pienamente soddisfatto tutte le aspettative.
Gli artisti del cast sono eccezionali, ovviamente. Le scene di tango delicate, divertenti e intense, mai scontate. Le ambientazioni estremamente realistiche, il ritmo è sempre azzeccato al messaggio. Il punto di vista è quasi del tutto al femminile, poche motivazioni vengono date da Juan Copes riguardo alle sue scelte, personali e artistiche, che hanno portato a Maria Nieves tante gioie, sofferenze e tormenti.
Ho trovato in lei un carisma ed un'espressività senza eguali. Tra ballerini di Tango possiamo capirci, si ha un po' la sensazione che questa donna possa dire anche una marea di stupidaggini, tu rimarresti ad ascoltarla per ore come se ti stesse svelando tutti i segreti del mondo.
Quello che racconta tuttavia ha poco di stupido. Una donna dello scorso secolo che si ritrova per la quasi totalità della vita a subire le scelte personali ed artistiche di un uomo che si sente "uomo" e deve dimostrare continuamente di esserlo. Queste scelte la porteranno ad entrare da una parte nella leggenda, dall'altra la condanneranno ad una vita di solitudine.
Personalmente trovo che la parte più interessante, commovente e a tratti angosciante sia quando confessa, più o meno con queste parole: "devo essere grata, di tutto. È stato quando ho perso tutto che sono veramente cresciuta come artista. Non c'erano più sguardi di amore, non c'era più felicità. C'era solo l'odio. Forse l'unico sentimento che condividevamo era l'amore per il tango."
Pur non avendo nemmeno un millesimo dell'esperienza di questa donna, ovviamente, rivedo ancora una volta un legame inscindibile tra spessore artistico e sofferenze personali. Da ballerina amo la danza perché posso esprimere con il corpo tutto quello che non posso urlare. Questo è al tempo stesso per tutti noi salvezza e condanna. Insomma a me ha commosso ed è piaciuto molto..”
Laura Brandi:
“ Commossa, mi sono sentita orgogliosa di un film argentino che rispecchia così la realtà di quegli anni e anche un po' di adesso, e' un film sulla coppia del Tango, anche se ovviamente gira intorno alla consapevolezza dell’amore non ricambiato di una donna, lei stravolgente, mi fa pensare a tante donne argentine di quella generazione…. musica, fotografie eccezionale, niente lasciato andare, una vera storia di tango. “
Michele Mollica:
" Credevo di dover scrivere una recensione stile Fantozzi:”la corazzata Potemkin e una cagata pazzesca”, ma dopo i primi cinque minuti di film mi sono dovuto ricredere.
Il film è ben fatto. Ha una bella struttura narrativa e fino alla fine si lascia guardare, poichè ci si aspetta sempre qualche segreto o perla di saggezza che, puntuali arrivano, con lo scorrere del film.
La fotografia è molto curata poichè non era facile armonizzare i colori delle riprese effettuate con la nuova tecnologia, con i colori di vecchie riprese effettuate negli anni 70 e 80.
Si nota l’intervento di mezzi, soprattutto economici, del produttore Win Wenders, anche nella parte di ballet di baushiana memoria.
Di difficile classificazione dal punto di vista del genere che sta tra il documentario storico di un’epoca del tango, e la storia d’amore sofferto che c’è tra i due personaggi.
Interessante notare come l’epoca del tango di cui si parla, fosse un’epoca in cui il tango veniva vissuto di Sabato e di Domenica, perché quella era l’unica forma di divertimento a buon mercato concessa alla povera gente.
Interessante fare un parallelismo con i nostri giorni, in cui il tango si balla prevalentemente nel weekend, ma non è accessibile alla povera gente.
Il film ha sempre un sottofondo malinconico e triste, fatto di ricordi e della tristezza tipica delle storie d’amore finite male, intriso da una buona dose di orgoglio che si legge in tante espressioni che sfuggono dalle bocche dei protagonisti, che ancora oggi non hanno saputo perdonarsi.
A mio avviso, il momento più ridicolo vissuto durante la proiezione nella sala di Bologna, è stato l’applauso rivolto dalla platea (in prevalenza dalla platea femminile) alle parole della protagonista: “gli uomini vanno sfruttati…gli uomini vanno usati”. Era un punto particolare della narrazione, momento in cui la protagonista parla del suo tradimento, avvenuto durante i due anni di tournèe solitaria del protagonista, illustrato da una scena di tango a tre; questo passaggio narrativo viene solo accennato dal regista.
Per contro la scena più bella, non solo dal punto di vista delle immagini, ma anche della narrazione (quasi onirica), è stata la scena in cui le varie Maria Nieves (dalla Maria Nieves bambina alla Maria Nieves anziana) ballano tra le braccia dell’uomo nero, rappresentazione del tango, che assume per l’occasione le sembianze di un demone invisibile che divora i sogni e le speranze di una vita.
Credo che l’eredità più grande che con questo film Maria Nieves lascia alle donne del tango (in particolare, ma può essere estesa a tutta la comunità tanguera) e’ quella di non rinunciare ai propri sogni fatti di famiglia e figli. In quanto: “il tango può anche aspettare tre o quattro anni”. La vita non aspetta. E sentirlo dire da una leonessa del palcoscenico, oramai sola ed ottantenne, nella penombra della sua casa, con solo un mate in mano come compagno, mi ha veramente impressionato..."